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Marguerite Duras

Marguerite  Duras

Marguerite Duras, nata Marguerite Donnadieu il 4 aprile 1914 a Gia Định, vicino a Saigon, nell’allora Indocina francese, crebbe in un ambiente coloniale segnato da forti contrasti sociali e da una natura tanto affascinante quanto dura. La sua famiglia era composta dalla madre Marie Legrand, insegnante elementare francese trasferita nelle colonie, da un padre malato che morì quando Marguerite era ancora bambina e da due fratelli, uno dei quali, il maggiore, sarebbe rimasto una presenza problematica e spesso violenta nella sua vita. Dopo la morte del marito, la madre tentò disperatamente di garantirsi un futuro comprando terreni inadatti alla coltivazione, che venivano sistematicamente sommersi dall’oceano. Questa esperienza di miseria, di lotta e umiliazione nel contesto coloniale, segnò profondamente la giovane Marguerite e divenne materia narrativa per molte sue opere, tra cui “Una diga contro il Pacifico”.

Durante l’adolescenza, trascorsa tra la povertà, le tensioni familiari e l’educazione rigida della madre, si sviluppò in lei un senso acuto di osservazione e una sensibilità che negli anni si trasformarono in uno stile letterario unico, fatto di emozioni trattenute, silenzi e fratture interiori. A diciotto anni lasciò definitivamente l’Indocina per trasferirsi in Francia, dove studiò matematica, scienze politiche e diritto a Parigi, immergendosi poco a poco negli ambienti culturali e intellettuali della capitale. Per un periodo lavorò come segretaria al Ministero delle Colonie, esperienza che le diede un ulteriore sguardo critico sulle politiche coloniali francesi e sulle dinamiche di potere che regolavano la vita nei territori oltremare.

Durante la Seconda Guerra Mondiale incontrò Robert Antelme, che divenne suo marito e membro attivo della Resistenza. Anche lei entrò in contatto con la rete resistente, vivendo quegli anni con tensione, paura, clandestinità e un forte coinvolgimento politico. Nel 1944 suo marito venne arrestato dalla Gestapo e deportato nei campi di sterminio; il suo difficile ritorno, segnato dalla malattia e dall’orrore dei campi, venne raccontato da Duras nel libro “Il dolore”, una delle testimonianze più intime e laceranti della sua produzione, benché pubblicato molti anni dopo rispetto alla sua stesura.

Gli anni immediatamente successivi alla guerra segnarono l’inizio della sua carriera letteraria. Adottò il nome d’arte “Duras”, tratto dal villaggio d’origine del padre in Francia, un gesto simbolico di ricostruzione identitaria. Pubblicò i primi romanzi, inizialmente ancora legati alla narrativa tradizionale, ma progressivamente sviluppò un linguaggio personale, fatto di ellissi, pause, ripetizioni, un ritmo quasi musicale che caratterizzò la sua scrittura dagli anni Cinquanta in poi. Con “Moderato cantabile”, uscito nel 1958, Duras si impose come una delle voci più singolari del panorama francese, attirando l’attenzione dei circoli letterari più innovativi e avvicinandosi ai movimenti sperimentali del tempo, senza mai però aderire completamente a un’unica corrente.

Parallelamente alla narrativa, iniziò a lavorare nel cinema. La collaborazione con il regista Alain Resnais portò nel 1959 alla realizzazione di “Hiroshima mon amour”, di cui Duras scrisse la sceneggiatura. L’opera, che intrecciava memoria, trauma e desiderio, diventò uno dei film simbolo della Nouvelle Vague ed è ancora oggi considerata un capolavoro assoluto, non solo del cinema ma anche della scrittura contemporanea. Negli anni successivi Duras si dedicò sempre più alla regia, sperimentando un linguaggio filmico lento, ipnotico, anticonvenzionale. Tra i suoi film più importanti si trovano “India Song”, realizzato nel 1975, che tradusse in immagini la poesia rarefatta e sensuale della sua scrittura.

La consacrazione definitiva arrivò nel 1984 con il romanzo “L’amante”, che racconta la relazione adolescenziale tra la giovane Marguerite e un ricco cinese a Saigon. Il libro, profondamente autobiografico ma filtrato dalla distanza emotiva e dalla densità poetica della sua voce matura, vinse il Premio Goncourt e divenne un successo mondiale. Il tema dell’amore impossibile, della differenza sociale, del desiderio come forza che travolge e ferisce, fece del romanzo un punto di riferimento della letteratura del Novecento. La struttura del racconto, costruita su ricordi che riaffiorano come frammenti, definì pienamente il suo stile tardo, uno stile fatto più di omissioni che di spiegazioni, un linguaggio in cui il non detto acquista più peso delle parole.

Nonostante il successo, la vita di Duras rimase segnata da fragilità personali, dipendenze, amori tumultuosi e periodi di alcolismo, che la condussero più volte in ospedale. Eppure, proprio attraverso queste crisi, continuò a scrivere con intensità crescente, riflettendo sul desiderio, sulla perdita, sulla memoria e sul limite del linguaggio. Le sue ultime opere, spesso intime e autobiografiche, sono testimonianza di una donna che ha sempre cercato, nella scrittura, un modo per restituire un senso alle lacerazioni della propria esistenza.

Marguerite Duras morì a Parigi il 3 marzo 1996. Lasciò un’eredità straordinaria: romanzi, film, testi teatrali, sceneggiature, diari e interviste che hanno influenzato generazioni di scrittori, cineasti e lettori. La sua voce, inconfondibile, resta una delle più originali e profonde della letteratura francese del Novecento, capace di trasformare l’esperienza personale in un linguaggio universale, fatto di ombre, silenzi e desideri che ancora oggi risuonano con forza.


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Copertina di L' amante

L' amante

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Anno: 2002
Tags: Narrativa