I massacri di oggi sono figli anche dei muri fisici e mentali che ostacolano l’incontro con l’Altro, spengono la curiosità di scoprirsi. Un tempo non era così. Possiamo recuperarlo. A partire dal principio che la vita prevale sulla ragion di Stato.
L’odio contro gli ebrei cresce ovunque, ma prende nuove forme. Le accuse a Israele di genocidio non sono più tabù. La contaminazione con la retorica anticoloniale. Denunciare le politiche di Netanyahu non è antisemita, bensì l’unico antidoto al suicidio del paese.
Alle origini del messianismo del Partito di Dio. L’attesa per il Mahdī e l’importanza del martirio. Il jihād locale contro Israele anticipa la fine dei tempi. Il rapporto tra lo sciismo duodecimano delle milizie e quello di Teheran. E se l’imam occultato fosse la Bomba?
Alle origini delle tendenze apocalittiche che caratterizzano la postura dello Stato ebraico. La questione della lingua sacra e i (vaghi) confini biblici. Cartografie religiose: come la pedagogia nazionale recupera le scritture a fini strategici. Il monito di Scholem.
Filosofia della proxy war: (in)attualità della dialettica servo-signore. Perché America e Iran non riescono a contenere i sogni messianici dei loro clienti. Eretz Yisrael, l’oggetto del desiderio dello Stato ebraico tra teologia e geopolitica.
L’efferatezza del 7 ottobre 2023 ha offerto alla destra israeliana l’occasione di liquidare la causa palestinese, già tradita da anni di occupazione coloniale e tribalismi interni. Il consenso passivo per Ḥamās. Lo Stato non c’è, ma il popolo esiste e soffre.
Il Partito di Dio accusa il duro colpo politico, militare e (forse) finanziario. Ma conserva risorse, consenso e volontà di combattere. Gli scenari bellici nel Sud, ‘cuscinetto’ agognato da Israele. Le manovre del dopo-Naṣrallāh. La guerra civile non sembra imminente.
L’offensiva israeliana ha posto l’Iran di fronte a un bivio: restare ‘paziente’ esibendo debolezza o reagire offrendo a Israele il casus belli. L’escalation emargina i riformisti, mentre la Guida tradisce debolezza. L’atomica, ultima spiaggia della deterrenza.
Conversazione con Meir Elran, generale di brigata a riposo delle Forze di difesa israeliane e direttore della ricerca domestica all’Institute for National Security Studies.
Il Partito di Dio è caduto nella nostra trappola. E sta pagando un conto salato. Perché un anno fa abbiamo iniziato con Gaza. Per affrontare l’Iran ci servono Usa e paesi arabi. Il riscatto delle Idf. Ma il conflitto non ha sanato le divisioni nella società israeliana.
Fazione esigua e ancora avversata nel caotico scenario yemenita, il gruppo si è intestato un paradossale ma efficace ‘nazionalismo’ in anni di guerra contro sauditi, americani e ora israeliani. Il puzzle tribale. La variabile russo-iraniana non promette bene.
Il choke point egiziano dimostra la sua vulnerabilità, che ne comporta il serio ridimensionamento. Come sopperire alla crisi via collegamenti terrestri. Le iniziative israeliane, tra cui spicca l’idea di connettere Eilat ad Ashkelon, e quelle turco-irachene.
Damasco, sempre più isolata, annaspa nella guerra lanciata da Israele per ridisegnare il Medio Oriente. Le incognite del dopo-Naṣrallāh. Al-Asad tra Iran e normalizzazione con il Golfo. Il silenzio di Mosca e le prove di riavvicinamento con la Turchia.
L’instabilità geopolitica detta in Medio Oriente il ritmo dei progetti vecchi e nuovi di esportazione del greggio, di cui l’Iraq è il secondo produttore Opec. L’esiguo sbocco al mare del paese stretto fra Turchia e Iran. L’incognita curda. La competizione sui corridoi.
I raid mirati che precedono e accompagnano l’offensiva contro Ḥamās e Ḥizbullāh, come pure l’inefficacia delle rappresaglie iraniane, attestano la potenza degli strumenti cyber di Tzahal. L’apporto degli alleati. Teheran medita risposta, ma intanto trema.
La guerra d’Israele erode la credibilità degli Stati Uniti, palesemente incapaci di plasmare gli eventi e usati per allargare il conflitto. La crisi di sfiducia tra gli americani investe anche lo Stato ebraico. I dolori di Kamala Harris. Il dibattito negli apparati.
Se Israele sposta la guerra da Ḥamās all’impero persiano, l’America si interroga: approfittarne per colpire Teheran e dedicarsi a Cina e Russia oppure limitare l’alleato come in passato? Senza assistenza militare statunitense, niente attacchi al nucleare iraniano.
I legami tra Russia e Iran non sono mai stati così stretti, ma le incomprensioni restano. I casi del corridoio di Zangezur e delle isole contese nel Golfo Persico. La politica occidentalista di Pezeshkian. Tra Israele e gli ayatollah il Cremlino preferirebbe non scegliere.
Lo scontro aperto tra Stato ebraico e Iran danneggerebbe i piani eurasiatici di Pechino. I rapporti con Gerusalemme sono gelidi. Da sola la Repubblica Popolare non può portare i belligeranti al tavolo negoziale. Armando Netanyahu, Washington scoraggia la pace.
La ragion di Stato induce Roma ad allinearsi a Gerusalemme. L’opinione pubblica teme l’allargamento del conflitto in Medio Oriente e in qualche caso simpatizza con l’‘asse della resistenza’ guidato dall’Iran. Quanto è occidentale il nostro paese?
Riyad teme che la guerra saboti l’avvicinamento a Israele e Iran, pensato per schermarsi dai conflitti regionali. L’America, seppure appannata, resta il fulcro della sicurezza del Regno cui subordinare l’intesa con lo Stato ebraico. Il cuore di MbS non batte per i palestinesi.
Il manicheo ‘Iran o Israele’ emargina Ankara, limitandone opzioni strategiche e ambizioni imperiali. Le convergenze con l’Egitto. L’asse obliquo con gli Stati arabi del Golfo. La carta somala e la variabile siriana. Erdoğan non vuole e non può fare la guerra.